La scultura istintuale di Pietro Stefan
di Antonio Menegon
Ho conosciuto Pietro
Stefan negli anni Settanta, quando il professor Pietro Doimo, l’allora
presidente della Biblioteca Comunale che sarebbe poi diventato Sindaco
di Susegana, aprì le porte della neonata istituzione ad un gruppo di
giovani appassionati d’arte, che si ritrovavano la sera a manipolare la
creta, a realizzare stampi in gesso, a decorare piatti e caraffe, a
parlare di pittura e scultura.
In un paese dove non esistevano spazi in cui i giovani potevano
esprimersi, era nata la scuola di ceramica di Susegana, ma soprattutto
veniva offerta la concreta possibilità di stringere un legame tra
persone che avevano sensibilità e affinità comuni. Un’esperienza durata
troppo poco, che aveva però riunito i vari Franco Corrocher, Salvatore
Grillo, Dario Lotteri, Elio Poloni, Sandro Raccanelli, Pietro Stefan,
Luigi Zambon che già si occupavano d’arte, con alcuni giovani del paese
che forse, in quel campo, avevano qualcosa da dire.
Ricordo lo sguardo di Piero che ti arrivava di soppiatto, poco sopra un
sorriso che spuntava sincero dai lunghi baffi e che partiva proprio
dagli occhi. In silenzio o con poche soppesate parole stava lì a
plasmare la creta a creare un aggraziato volto di ragazza solo con
alcuni tocchi ben assestati. Lì a dare corpo ad una passione
irrefrenabile per la scultura che lo aveva rapito fin da giovane.
Pietro Stefan ha cominciato a battere la pietra nel 1967, subito dopo il
servizio militare, quando abitava a Sernaglia della Battaglia. Ha
cominciato scolpendo nel marmo il ritratto di sua madre Elisa con gli
scalpelli che si era costruito da sé, recuperando i tondini di ferro dal
cantiere edile dove lavorava. Suo padre Eliseo diceva spesso: “Quello è
tutto matto; prima il pugile e adesso lo scultore…”.
“Ho scelto la pietra dura perché volevo dimostrare di non avere paura di
quel materiale difficile – racconta Pietro Stefan – avevo qualcosa
dentro che mi diceva di provare a misurarmi con l’arte e così ho
trascorso tante sere, dopo il lavoro, a scolpire la pietra fino a tardi,
nel granaio di casa”.
Nel 1960 in Svizzera come muratore qualificato e dopo un paio d’anni,
ancora in Italia, sempre come muratore. Il servizio militare e
l’esperienza sportiva con la Pugilistica Menegon e Fornasier di Ponte
della Priula agli ordini di Aurelio Battistella, consacrano
l’inquietudine di un ragazzo dalle braccia forti, schivo e un po’
solitario, che amava i boschi e le passeggiate lungo la Piave: la pietra
e il legno, due materiali che accompagneranno Stefan durate tutta la sua
esperienza artistica.
Piero in quegli anni è una specie di vulcano pronto ad esplodere, che
trova solo nell’arte la pace che scarica la mente, che esprime
creatività e sentimenti, scovando nella materia le sue emozioni di
giovane artista, un po’ spaesato nel suo paese.
Dopo una giornata passata in cantiere, mentre la madre prepara la cena,
lui è lì vicino al camino con i nipoti a plasmare i loro volti su una
palla di creta, per farli star buoni e per vedere i loro occhi
meravigliati davanti alla terra che prende forma, la forma del loro viso
di ragazzi.
Nel 1969 il primo riconoscimento a Jesolo. Un terzo premio ad un
concorso di scultura che per Stefan è un’iniezione di fiducia: ne
seguiranno tanti altri.
Comincia la fase delle sculture in legno. Da un tronco di olmo del peso
di alcuni quintali, acquistato per 60 mila lire, nasce “Il simbolo della
vita”, una scultura dalla forza e dallo slancio irrefrenabili.
Il legno era nella mente di Piero già da alcuni anni: c’erano quei
vecchi tronchi trascinati dalla Piave e arenati nelle ghiaie del fiume;
nel bosco c’erano i ceppi dalle lunghe radici aggrappate al terreno e
poi c’erano quelle attaccature degli alberi dove già si potevano
scorgere un volto o una figura. Dentro quei tronchi e quei grandi ceppi
c’era l’arte di Stefan che aspettava di essere portata alla luce.
Pietro Stefan è uno scultore in simbiosi con l’ambiente in cui vive. In
questo ambiente matura un’arte istintuale, che trova precisi riferimenti
nella concezione neoplatonica dell’espressione artistica cara a
Michelangelo Buonarroti: identificare nella grezza materia presente in
natura la forma e l’espressione delle proprie opere d’arte. Riuscire
cioè a liberare dalla materia l’idea che essa già contiene e che
l’artista individua.
Durante quelle passeggiate che da Sant’Anna era solito compiere lungo la
Piave fino a Colfosco, oppure su fino quasi a Vidor, Pietro Stefan
affina la sua sensibilità nello scorgere dentro i legni e nelle grandi
pietre abbandonati dalle piene del fiume l’espressione artistica dei
suoi pensieri, a volte felici, spesso cupi, tormentati e carichi di
pessimismo. L’arte aveva il potere di riequilibrare quello spirito
inquieto d’artista, che conosceva Sandro Nardi, Angelo Lorenzon, Carlo
Conte, Andrea Zanzotto, Luciano Salomon, il bellunese Pradella, il
Maestro Emilio Fontana, ma che non riusciva ad esprimersi nella
notorietà e tanto meno nella fama.
I riconoscimenti ufficiali arrivavano comunque copiosi, ma Stefan non
parlava quasi a nessuno di quei viaggi a Milano, a Vienna, a Torino, a
Venezia, Firenze, Genova o a Roma, dove si recava a ritirare i premi
assegnatigli. In pochi ancora oggi sanno della sua iscrizione all’Albo
Professionale degli Artisti Europei avvenuta nel 1989.
Il ritorno a Collalto, alla vita di tutti i giorni, al lavoro duro del
cantiere con la mente a sognare sempre e continuamente forme da
catturare dalla materia, tanto che la sera, quando Piero tornava a casa,
sapeva già cosa fare nel suo laboratorio con il legno, con la pietra o
con altri materiali.
“Ho imparato a vivere osservando la natura, guardando le piante più
piccole morire all’ombra dei grandi alberi. – spiega Stefan – Nella
scultura sono riuscito a trasformare la miseria in vita. Quei tronchi
pesanti e pieni di nodi e quelle pietre dure da vincere erano la miseria
di una famiglia con 11 figli, di una generazione uscita dalla guerra, di
un paese che faticava ad alzare la testa. Io con la scultura cercavo di
uscire da questa situazione, di esprimere tutte le cose che avevo
dentro. Nel bosco ci andavo sempre da solo a guardare gli alberi, a
contemplare i tronchi delle piante morte in piedi e i pensieri
correvano alla materia da trasformare che avevo a casa. Poi la sera a
scolpire fino a tardi e la notte non riuscivo a dormire pensando a quei
tronchi o a quelle grosse pietre lasciati lì nella grava della Piave.
Smettevo di pensarci solo quando riuscivo a portarmeli a casa”.
La scultura in legno della testa di cavallo che emerge, esplosiva, da un
grosso tronco è arrivata con le acque torbide e violente della Piave
durante la piena conseguente al disastro del Vajont. Il tronco si era
fermato a Fontigo ed era stato portato in una segheria. Quando un giorno
il titolare della segheria aveva incontrato Pietro Stefan gli aveva
detto: “ho un pezzo di legno che fa per te”. E appena Piero vide quel
tronco individuò subito la testa del cavallo ergersi sopra la
strozzatura di un vecchio innesto circondata da straordinarie pieghe
naturali del legno: per lui, estrarla dalla materia fu facile ed
emozionante.
Il periodo più buio e meno prolifico di Pietro Stefan è stato quello
coinciso con l’esperienza di Consigliere comunale nella prima metà degli
anni Ottanta.
“Ero stato chiamato a rappresentare il paese di Collalto in consiglio
comunale – racconta Stefan – e non potevo certo tirarmi indietro, ma è
stata davvero dura. In quel periodo avevo smesso quasi del tutto con la
scultura e dipingevo delle figure geometriche che sembravano delle scale
che non portavano da nessuna parte e se portavano da qualche parte
conducevano inevitabilmente nel baratro”.
Proprio di quei tormentati anni Ottanta sono però le figure levigate,
dalle facce multiple, sagomate nella pietra scura e lucida, sintomo di
un contrasto interiore profondo. Una di queste, “La valanga del
progresso”, raffigura una pallina posta in cima ad uno scivolo, che una
volta scesa in basso si è trasformata in una grande sfera, ma subito
dopo c’è il baratro, un salto nel vuoto che attende l’uomo vittima
sacrificale del suo progresso rapido e indisciplinato.
Difficile alzare la testa dopo un periodo di grave pessimismo, ma Pietro
Stefan ci riesce, grazie anche all’intuizione di don Celestino Mattiuzzo,
parroco di Collalto, che nel 1999 gli commissiona una scultura in legno
per sorreggere un nuovo altare da porre nella chiesa parrocchiale di San
Giorgio.
Piero ha lì da tempo un grande, vecchio ceppo di ulivo. “Ogni volta che
lo guardavo sembrava impaziente di far uscire la sua anima, sembrava
aspettare la sua occasione – racconta Stefan - fino a che, spronato da
don Celestino, ho scolpito una Santissima Trinità, ma soprattutto ho
ripreso un po’ di fiducia in me stesso e nella possibilità di potermi
ancora esprimere con la scultura”.
Il prodotto finale è un Gesù morente tra le venature di un legno
stupendo e vivo, che trova nella magnificenza del Padre e nella divinità
dello Spirito Santo una giustificazione di fede del sacrificio del
Figlio. Una straordinaria opera d’arte.
Anche Diotisalvi Perin, titolare dell’omonima azienda di Colfosco e
appassionato di storia, ha un suo ruolo nella ripresa dell’attività
artistica di Pietro Stefan. Gli assegna l’incarico di realizzare tre
bassorilievi in bronzo per ricordare i fondatori del Museo del Piave (Caorera
di Vas BL) e le famiglie Tittonel e Morgan che hanno subito terribili
lutti dalla Grande Guerra.
Poi Carlo Padoin, giovane chef titolare del ristorante posto a pochi
passi dalla casa di Stefan, ha chiesto allo scultore di caratterizzare
il suo locale con un’opera rappresentativa del luogo. Così Piero ha
tirato fuori da una grande pietra la figura di Melania, una donna
proprio di Sant’Anna che negli anni ’50 si era “inventata” un lavoro per
uscire dalla miseria. Una scultura simbolo dell’ingegno femminile nella
dura realtà del secondo dopoguerra che l’opera di Stefan consacra per
sempre.
Poi ancora, nell’autunno del 2005, gli Alpini di Collalto e il Gruppo
Festeggiamenti chiedono a Pietro Stefan di scolpire un monumento
raffigurante Giovanni Paolo II, il Papa polacco scomparso nella
primavera dello stesso anno a cui l’Amministrazione comunale di Susegana
intende dedicare la nuova piccola piazza del paese, all’ingresso del
centro storico. E’ il primo monumento in Italia dedicato a Giovanni
Paolo II e la segreteria di S.S. Benedetto XVI ne fa menzione in una
lettera di ringraziamento indirizzata all’artista di Collalto.
Per il Maestro Pietro Stefan è il ritorno alla produzione creativa del
suo essere scultore della sua terra, nella sua terra, che la mostra
personale di Collalto (aprile-maggio 2007) appieno riconosce.
Pietro Stefan
vive e lavora
in via Mercatelli-Sant’Anna n° 24
Collalto di Susegana (TV) (c.a.p. 31058)
Telefono 0438.895488
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