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Presentare una mostra, soprattutto quella di un amico,
non è facile, ma ho dalla mia il fatto di non essere sicuramente un critico,
ma solo un appassionato d'arte.Mentre tento di scrivere qualcosa che abbia
perlomeno un senso compiuto, vedo alla finestra dopo le prime luci di
quest'alba invernale, la nebbia che avvolge gli alberi al di là del fiume
Soligo, la Galaverna mi riporta a quando bambino mi aggiravo in quel mondo
incantato dove cespugli, piante e siepi assumevano forme spettrali nel
silenzio di una campagna non ancora devastata da monocoltivazioni o peggio
ancora da aree artigianali ed industriali, ed i boschi della mia infanzia
fino alle prime periferie del paese erano selve impenetrabili dove piante
marcescenti lasciavano il posto a possenti alberi le cui radici
aggrovigliate abbracciavano le rocce ricoperte di muschio e, l'acqua di un
piccolo ruscello scorreva limpida e gorgogliante verso il fiume, e pietre
levigate assumevano contorni inquietanti come gli gnomi che sicuramente mi
guardavano dalle loro dimore nei piccoli anfratti di roccia o dall'interno
di quegli alberi morenti.
A parte le digressioni, ho sempre pensato che avere davanti un blocco
d'argilla, un sasso, una pietra, un ceppo d'albero, rimane, per la quasi
totalità delle persone, quello che vedono, ma... un artista plasma, scava,
accarezza, sussurra alla pietra, al legno e riesce a vedere là dove altri
non vedono un viso, un piede, una figura finita, o forme astratte dove il
simbolismo non è fine a se stesso, tutto questo è nella mente, nel cuore e
nelle sapienti mani di Pietro Stefan.
Faccio visita al maestro ed entro nello studio in un freddo siderale, ...
(dice che mantiene giovani) ... la luce che piove dalla porta-finestra,
grigia, quasi lattea, taglia a metà le opere lasciando in ombra pietre e
pezzi di legno appoggiati alle pareti; è lì che vado a rovistare e scopro un
sasso scolpito a metà, una tavola di pino cimbro sbozzata e decine di
litotipi di tutte le forme e dimensioni del Piave. Su dei piedistalli,
testine di terracotta, fusioni a staffa, bronzetti.
In una vetrina decine di medaglie e pergamene che attestano e premiano il
lavoro di molti anni di Pietro.
Le statue di legno incombono su tutto, olmo, castagno e ulivo le essenze,
anche se il maestro non disdegna l'acero, il noce, il rovere, il frassino...
tutto quello che è omogeneo al taglio.
In queste opere di un quasi primitivismo figurativo vedo chiaramente grazia,
sensualità, tristezza, gioia; l'anima inquieta e affettuosa, solare
dell'artista, che vince attraverso l'arte la timidezza, le difficoltà, le
incertezze, le problematiche che la praticità della vita ci impone
quotidianamente; come la sopraffazione, la violenza rappresentate nell'opera
"La radice della violenza", dove volute torsioni di una forza non comune si
sublimano in un piede ferino che schiaccia gli indifesi e gli innocenti.
Trovo retorico sottolineare che l'artista Stefan e l'uomo sono un tutt'uno
con le sue opere e non si può capire la scultura di Pietro se prima non hai
visto questa panica bellezza della sua terra, sospesa tra i primi
contrafforti dei monti ed il fiume, terra a volte agra a volte ubertosa,
sempre e comunque la nostra terra, dove hanno radicato scultori (Conte -
Lorenzon), pittori, musicisti, scrittori, poeti e gente normale e laboriosa
che l'ha fatta crescere e prosperare. Concludo con l'augurio che quest'uomo
dal viso magro e scavato, dagli occhi mutevoli ed intelligenti, dalle rare
parole, sappia mantenere ancora a lungo questa spontaneità, lontano da
sirene prezzolate, untuosi e luciferini mercanti. |