PIERO STEFAN SCULTORE A COLLALTO, recensione di SERGIO SOLDAN

 


 

 

 

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Presentare una mostra, soprattutto quella di un amico, non è facile, ma ho dalla mia il fatto di non essere sicuramente un critico, ma solo un appassionato d'arte.Mentre tento di scrivere qualcosa che abbia perlomeno un senso compiuto, vedo alla finestra dopo le prime luci di quest'alba invernale, la nebbia che avvolge gli alberi al di là del fiume Soligo, la Galaverna mi riporta a quando bambino mi aggiravo in quel mondo incantato dove cespugli, piante e siepi assumevano forme spettrali nel silenzio di una campagna non ancora devastata da monocoltivazioni o peggio ancora da aree artigianali ed industriali, ed i boschi della mia infanzia fino alle prime periferie del paese erano selve impenetrabili dove piante marcescenti lasciavano il posto a possenti alberi le cui radici aggrovigliate abbracciavano le rocce ricoperte di muschio e, l'acqua di un piccolo ruscello scorreva limpida e gorgogliante verso il fiume, e pietre levigate assumevano contorni inquietanti come gli gnomi che sicuramente mi guardavano dalle loro dimore nei piccoli anfratti di roccia o dall'interno di quegli alberi morenti.
A parte le digressioni, ho sempre pensato che avere davanti un blocco d'argilla, un sasso, una pietra, un ceppo d'albero, rimane, per la quasi totalità delle persone, quello che vedono, ma... un artista plasma, scava, accarezza, sussurra alla pietra, al legno e riesce a vedere là dove altri non vedono un viso, un piede, una figura finita, o forme astratte dove il simbolismo non è fine a se stesso, tutto questo è nella mente, nel cuore e nelle sapienti mani di Pietro Stefan.
Faccio visita al maestro ed entro nello studio in un freddo siderale, ... (dice che mantiene giovani) ... la luce che piove dalla porta-finestra, grigia, quasi lattea, taglia a metà le opere lasciando in ombra pietre e pezzi di legno appoggiati alle pareti; è lì che vado a rovistare e scopro un sasso scolpito a metà, una tavola di pino cimbro sbozzata e decine di litotipi di tutte le forme e dimensioni del Piave. Su dei piedistalli, testine di terracotta, fusioni a staffa, bronzetti.
In una vetrina decine di medaglie e pergamene che attestano e premiano il lavoro di molti anni di Pietro.
Le statue di legno incombono su tutto, olmo, castagno e ulivo le essenze, anche se il maestro non disdegna l'acero, il noce, il rovere, il frassino... tutto quello che è omogeneo al taglio.
In queste opere di un quasi primitivismo figurativo vedo chiaramente grazia, sensualità, tristezza, gioia; l'anima inquieta e affettuosa, solare dell'artista, che vince attraverso l'arte la timidezza, le difficoltà, le incertezze, le problematiche che la praticità della vita ci impone quotidianamente; come la sopraffazione, la violenza rappresentate nell'opera "La radice della violenza", dove volute torsioni di una forza non comune si sublimano in un piede ferino che schiaccia gli indifesi e gli innocenti.
Trovo retorico sottolineare che l'artista Stefan e l'uomo sono un tutt'uno con le sue opere e non si può capire la scultura di Pietro se prima non hai visto questa panica bellezza della sua terra, sospesa tra i primi contrafforti dei monti ed il fiume, terra a volte agra a volte ubertosa, sempre e comunque la nostra terra, dove hanno radicato scultori (Conte - Lorenzon), pittori, musicisti, scrittori, poeti e gente normale e laboriosa che l'ha fatta crescere e prosperare. Concludo con l'augurio che quest'uomo dal viso magro e scavato, dagli occhi mutevoli ed intelligenti, dalle rare parole, sappia mantenere ancora a lungo questa spontaneità, lontano da sirene prezzolate, untuosi e luciferini mercanti.

     

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